domenica 23 giugno 2013

Valle del Sacco - Te la freghi l'Odissea di Omero -

 Il sequestro dell'Italcementi a Colleferro, quattro anni dopo i sigilli apposti al grande inceneritore nello stesso comune, riaccende i riflettori sulla «valle dei veleni». Nel corso di un secolo l'industrializzazione selvaggia ha compromesso il territorio attraversato dal fiume Sacco e la sua popolazione: qui infatti, sin dal 1912, è presente l'industria bellica. La stessa che, negli anni '80, arrivò ad aiutare il dittatore Saddam Hussein. E ancor oggi prosegue la produzione a servizio della chimica di guerra, ma il segreto militare resta impenetrabile e non consente di offrire le reali dimensioni del fenomeno. 
Sulla Valle del Sacco insiste poi l'impatto dell'impianto per il trattamento dei rifiuti bloccato dal Noe dei carabinieri nel 2009, nonché quello della produzione di un insetticida (vietato solo dal 2001) finito nel foragio e nel latte crudo di 32 aziende bovine e 9 ovine: indagini epidemiologiche analizzano da tempo sospette morie di bestiame e di pesci nel fiume, nonchè numerosio casi di tumori nella popolazione. Con un inquinamento ambientale che, nel complesso, potrebbe superare quello contestato intorno all'Ilva di Taranto.
L'industria bellica a Colleferro nel 1912L'industria bellica a Colleferro nel 1912
CENTO ANNI DI GUERRA - Nello scioccante studio - ignorato dai più - prodotto nel 2012 da Legambiente sulle armi chimiche in Italia, tra i siti sotto indagine spicca la Valle del Sacco. Si legge nel dossier: «A Colleferro quest’anno ricorre il centesimo anno dell’industrializzazione dell’area che ospita già dal 1912 produzioni belliche (Snia, BPD), in particolare dedicate alla fornitura di tecnologie atte a trasformare armi convenzionali in armi chimiche. Una produzione che continua anche negli anni successivi alla II Guerra mondiale, tanto che alcuni documenti riportano una correlazione tra la produzione dell’industria bellica di Colleferro e le tecnologie fornite all’Iraq di Saddam Hussein negli Anni '80». 
Ancora oggi nell’area sono attive produzioni belliche «ma sull’inquinamento ci sono ancora poche informazioni pubbliche, a causa del segreto militare - spiegano gli ambientalisti - e di una contaminazione molto complessa che deriva da tantissime attività che si sono succedute negli anni in tutta la Valle del Sacco, diventata recentemente "Sito di interesse nazionale da bonificare"».
SEGRETI PER REGIO DECRETO - Scrive ancora Legambiente: «Parte del sito industriale di Colleferro è ancora oggi “coperto” dal Regio Decreto 11 luglio 1941, n. 1161 – Norme relative al segreto militare - e dal Regolamento di Pubblica Sicurezza del Regio Decreto 6 maggio 1940, numero 635, che ha favorito l’assenza di controlli in materia ambientale. Ai primi Anni ’90 risale il ritrovamento di fusti tossici contenenti scarti di produzione delle aziende colleferrine. Nel 2005, in seguito alla contaminazione da β-HCH (beta-esaclorocicloesano), derivante dalle produzioni interrate di insetticidi, si è istituito il "Sito di Interesse Nazionale di Bonifica", oggi uno dei più estesi in Italia».
Un camion porta i rifiuti al termovalorizzatore di Colleferro (Jpeg)Un camion porta i rifiuti al termovalorizzatore di Colleferro (Jpeg)
BONIFICA MISTERIOSA - «La relazione dell’Ufficio Commissariale per l’emergenza della Valle del Sacco del 2009 non evidenzia il ritrovamento di sostanze legate alla produzione bellica. Ma documenti Usl (Anni ’90) sottolineano le tipologie di «sostanze utilizzate dall’industria bellica, al tempo stesso industria chimica». La relazione dell’Ufficio Commissariale - prosegue lo studio - indica che molte operazioni di bonifica all’interno del sito industriale «sono state effettuate dalle stesse aziende, senza che ne siano stati esplicitati i termini». Nel 2009, circa il 30% dell’area industriale era «oggetto di caratterizzazione in itinere o in previsione»: un problema che riguardava «tutte le aree di pertinenza delle aziende belliche, le stesse che ne dovranno redigere i piani di caratterizzazione».
FORNITORI DI SADDAM HUSSEIN - Quanto ai clienti dell'industria bellica, «nel 1982, l’Iraq di Saddam Hussein, come molti altri Paesi emergenti», stava effettuando la sua corsa al riarmo, «progettando e costruendo la sua macchina bellica in chiave anche chimica e di distruzione di massa, con l’ausilio delle capacità produttive e ingegneristiche di Paesi avanzati... I rapporti Unmovic, ovvero della Commissione ispettiva creata dalle Nazioni Unite nel 1999 al fine di monitorare le capacità belliche dell’Iraq, fanno emergere «notizie di collaborazione tra l’Iraq e aziende italiane, non menzionate però esplicitamente», ribadisce Legambiente.
La Simmel Difesa, dove nel 2007 un' esplosione uccise un operaio e ne ferì altri tre (Ansa)La Simmel Difesa, dove nel 2007 un' esplosione uccise un operaio e ne ferì altri tre (Ansa)
DALL'IRAQ ALLA'ARABIA SAUDITA - Il giornalista Gianluca Di Feo, in Veleni di Stato (2010), ricostruisce tasselli essenziali circa la responsabilità delle produzioni belliche colleferrine (Snia BPD), in particolare relativamente alla «fornitura di tecnologie atte a trasformare armi convenzionali in armi chimiche, scavalcando le convenzioni internazionali». Infine: «In tempi recenti (2006), le industrie belliche di Colleferro (ora Simmel Difesa SpA) vendono ancora unità di ricambio di armamenti modificabili in vettori chimici a paesi come l’Arabia Saudita, trasferibili ad altri paesi ex Legge 185/90, che non garantisce l’ end use. Non è dato sapere, in ultima analisi, quali altri paesi siano in possesso di tecnologia italiana per la modifica di armi convenzionali in armi chimiche».
Mario Cacciotti,  sindaco di Colleferro (foto Eidon)Mario Cacciotti, sindaco di Colleferro (foto Eidon)
UN FIUME DI INSETTICIDI - Ripercorrendo, invece, la recente storia della Valle del Sacco, non si può che rimanere sbalorditi da quanto la vicenda dell'inquinamento sia stata letteralmente sminuita: a raccontarla in maniera drammatica solo le indagini epidemiologiche, oltre a sospette morie di bestiame e di pesci nel fiume accompagnate da una sequela di esposti e denunce sui disastri ambientali che si sono susseguiti negli anni tra la bassa provincia Roma - in particolare Colleferro, Valmontone, Gavignano - e l'alta Ciociaria. Ad avvelenare la zona, in particolare, sarebbe stata un'azienda produttrice di un insetticida che conteneva Beta-HCH. La sostanza era contenuta nel lindano, antiparassitario vietato solo nel 2001. Fu nel 2005 che scoppiò il caso, a seguito dei risultati analitici di campioni di latte crudo di un’azienda agricola di Gavignano che evidenziavano livelli di beta- esaclorocicloesano (β-HCH), un composto organico persistente, molte volte superiore ai livelli limite di legge per la matrice considerata.
Mucche in una stalla della Valle del Sacco (Ciofani)Mucche in una stalla della Valle del Sacco (Ciofani)
ANIMALI ABBATTUTI - I veleni confluiti dai terreni dell'azienda che produceva l'antiparassitario nel suolo e nelle acque, come rilevò l'Istituto zooprofilattico, confluirono nel fiume che distrusse ciò che attraversava: 32 aziende bovine, una bufalina e 9 ovine vicine a dove era stato riscontrato il primo campione positivo, presentavano altre positività e la molecola incriminata venne rilevata anche nei foraggi per l’alimentazione animale. Con l'amministrazione Marrazzo venne dichiarato lo stato di emergenza: venne istituito un commissario ad hoc e furono abbattuti in via cautelativa 6000 capi di bestiame mettendo in ginocchio la zootecnia della Valle. Partono anche le prime bonifiche dei siti inquinati. Ad oggi la contaminazione dell'area perimetrata ed oggetto degli interventi, si sarebbe ridotta «tra il 30 ed il 40% rispetto ai valori iniziali (fonte: assessorato all'ambiente, agosto 2012)».
Colleferro, l'area del termovalorizzatore  Colleferro, l'area del termovalorizzatore
INDAGINE EPIDEMIOLOGICA - Nel 2008 la prima indagine epidemiologica - ne verrà fatta un'altra due anni dopo con esiti stranamente più miti - evidenziò i gravi problemi per la salute portati da anni di avvelenamento. Come scrive il rapporto della Asl Roma E: «L’area di Colleferro è stata oggetto di un inquinamento ambientale da fonti molteplici e le modalità di contaminazione umana sono state diverse. Il complesso industriale ha sicuramente causato un inquinamento dell’aria da sostanze chimiche e prodotti della lavorazione fin dai primi tempi della propria attività e i cui livelli e la cui estensione nel territorio sono oggi poco documentabili». I lavoratori - prosegue il testo - «sono stati esposti a sostanze tossiche in ambiente di lavoro, in particolare prodotti chimici ed amianto».
L'impianto dove si producevano i pesticidi organiciL'impianto dove si producevano i pesticidi organici
PESTICIDI NEL CIBO - Le persone che hanno risieduto lungo il fiume hanno assorbito ed accumulato nel tempo pesticidi organici soprattutto tramite la via alimentare. I risultati della indagine mostrano che alcuni effetti sanitari possono essere ragionevolmente messi in rapporto con tali esposizioni. «Il quadro di aumento della patologia respiratoria e cardiovascolare riscontrato nel comune di Colleferro e nelle aree rurali vicine - dice l'indagine - può essere in parte attribuibile all’inquinamento dell’aria negli anni trascorsi. Gli eccessi di tumore della pleura possono essere messi in rapporto con la esposizione ad amianto in ambito occupazionale mentre la esposizione a sostanze chimiche può aver causato l’eccesso di tumori della vescica tra gli operai esposti». Tanto che l'area è stata ribattezzata «la Valle dei tumori». Mancano aggiornamenti recenti: nell'agosto 2012, ad una interrogazione dei radicali del Lazio, non rispose la presidente Polverini in veste di delegato alla salute, ma solo l'assessorato all'Ambiente.
UN CASO ILVA A SUD DI ROMA - E torniamo ai giorni nostri. «Se alla situazione emersa dell’Italcementi, si aggiunge un contesto ambientale già gravemente compromesso, in un territorio sul quale insiste anche l’inceneritore, già finito sotto la lente degli inquirenti per dei gravissimi illeciti ambientali, si compone un quadro di devastazione ambientale pari a quello dei siti più inquinati d’Italia, come l’Ilva di Taranto». E nella zona il futuro sembra parlare di nuove ferite per l'ambiente: dopo anni di sversamenti nella discarica di Colleferro, di incenerimento dei rifiuti, di pneumatici e biomasse, infatti, si vogliono installare anche impianti di Tmb (trattamento biologico meccanico dei rifiuti) per produrre combustibile da rifiuto.
NO TAX AREA INVECE DEI RIFIUTI - I verdi del Lazio, contrari a nuove opere, propongono un'alternativa: «Non possiamo permettere che si costruiscano altri impianti per alimentare gli inceneritori - conclude - un altro modello di sviluppo è possibile, e passa per la filiera della riduzione, del riuso, della raccolta differenziata e del riciclo e dal rilancio del territorio che passa attraverso le bonifiche». A margine dell'ultima manifestazione celebrata nella zona, : «Chiediamo che sia istituita subito una "No Tax area" per la Valle del Sacco, per attrarre imprese e lavoro e portare sviluppo a quest'area - troppo a lungo sacrificata dalle scelte della politica con rifiuti e inquinamento - e un processo di bonifiche che la restituisca ai cittadini».

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